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Su twitter anche deridere i Down è umorismo
Cosa fanno i ragazzini quando non fanno i compiti a casa? Tanti stanno su Twitter e non per seguire cosa dicono
le persone o le organizzazioni che interessano loro, ma per diventare essi stessi delle persone interessanti da seguire.
Leggere così spesso tra le tendenze i nomi di band, cantanti o altri personaggi dello spettacolo per teenager è
un esempio di come Twitter sia usato per seguire su internet un interesse nato nel mondo reale e condiviso, oltre che
con le persone della propria realtà sociale, anche con chi non si conosce direttamente.
È, invece, un fenomeno totalmente generato dalla virtualità della Rete la creazione di un profilo
disgiunto dall'utente che lo crea, il quale si sente anche in dovere di prenderne le distanze e chiarire che il
profilo creato sia immaginario e non rappresenti il pensiero dell'autore che posta i tweet. Un profilo del genere
può arrivare ad accumulare diverse centinaia di follower e ottenere molti retweet, la massima gratificazione per chi
è in cerca di consensi (ricordo che all'inizio Twitter non aveva il tasto retweet).
In queste righe parlo di quei profili che postano contenuti di cattivo gusto, spesso mutuati - se non addirittura copiati - da Facebook. Twitter, a differenza di Facebook, si tappa molto di più il naso in questi casi, perché dice di essere un servizio aperto a tutti, non limitato dalla sensibilità di uno o più utenti verso un argomento.
Se dicessimo che Twitter è un muro virtuale sul quale tutti abbiamo il permesso di lettura e scrittura,
provocherebbe la generale indignazione leggere scritte di cattivo gusto sui bambini affetti dalla sindrome di Down,
sugli alluvionati in Sardegna, sugli ebrei e sull'olocausto, sugli orfani ecc.; le stesse scritte su un muro vero
sarebbero immediatamente cancellate, prima che l'autore - spesso anonimo - possa sentirsi gratificato dallo scalpore
suscitato.
Quei tweet sono tanto più meschini, quanto più li si giustifica come umoristici. Ci si aspetterebbe l'indignazione
generale e un unfollow di massa e, invece, i tweet ottengono consensi, retweet (condivisioni) e aggiunta ai favoriti
(le stelline). Curiosando tra chi apprezza il genere, troverete profili di altri ragazzini ma anche di persone adulte.
Profili di quel tipo sono a tema e postano ripetutamente contentuti analoghi.
Per rendere l'idea di quanto la cosa sia disgustosa, vi cito il caso della professoressa di una scuola romana che richiamava l'allieva distratta con l'umoristica frase: «Ad Auschwitz saresti stata attenta»; le cronache riportano anche che l'allieva distratta era ebrea. Il caso ebbe un'enorme risonanza mediatica e suscitò l'indignazione generale; invece, una frase simile su Twitter, scritta in forma anonima, ottiene consensi, retweet e stelline.
Voi come vi comportate: vi indignate oppure retwittate? Vi provocano ilarità frasi così?
Sbagliamo a pensare ad un popolo della Rete che viva solo tra le onde dei social network: a scrivere sui social network siamo noi persone reali ma con un alias; sbagliamo se usiamo due pesi e due misure nei confronti dello stesso atto disgustoso a seconda del mezzo usato: non esistono il virtuale e il reale ma tutto è reale perchè anche il virtuale della Rete dà esperienze reali nel momento in cui passa dalla macchina all'utente.
Twitter pone alcuni limiti nell'utilizzo e nei contenuti. Inoltre, consente all'utente di segnalare anche i singoli tweet come molesti o di spamming: se un gran numero di persone blocca un utente, questo potrebbe essere sospeso. Se un utente si comporta in violazione di apposite norme (ad esempio diffamazione, ingiuria, violazione della privacy ecc.) viene perseguito.
Riporto altri esempi di tweet di cattivo gusto con il numero di retweet e di preferenze ricevuti. I nomi dei profili sono oscurati per non fare pubblicità.
About me
Antonio Picco, blog on-line dal 2003.
Osservatore intransigente della società, critico dell'evoluzione digitale e del suo impatto sulle nostre vite.
Nel mio blog condivido riflessioni inedite sull'evoluzione del digitale e il suo impatto sulla società, con l'obiettivo di scardinare i diktat del pensiero stampato.
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