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L'italiano, trash tamarro e perbenista
Se non ci liberiamo delle brutture di cui siamo capaci, saremo sempre più trash e tamarri ma comunque perbenisti.
Come siamo arrivati a celebrare il trash
La parola trash fa pensare a qualcosa da buttare via. Si buttano via le cose sgradevoli, rotte, inutilizzabili, guaste e di scarto dopo averle selezionate e separate dalle cose da conservare. Il naturale istinto di conservare se stessi e il mondo in buone condizioni è in continuo conflitto con la spinta a vivere il presente che ci fa accumulare esperienze, memorie, cose e persone.
Ancora una volta, lo sversare ogni personale turbamento nel proprio profilo sui social network che è aperto a tutti, o a molti (comunque a troppi), è il comportamento responsabile della moltiplicazione del trash. Non ci disfiamo più di niente e ci teniamo tutto, condividendolo con gli altri; allo stesso modo, gli altri non si disfano del proprio trash e lo condividono con noi in Rete.
Siamo abituati a conservare solo ciò che è giusto e buono, perché da secoli facciamo così. Per problemi di spazio e di igiene non teniamo vicino a noi tutto indistintamente; fino a qualche anno fa, poi, anche la memoria nei computer era limitata e costosa, ma oggi i server dei social network offrono spazi virtuali inesauribili dove accumulare tutti i nostri dati, a cui possiamo accedere in ogni momento. Se non ce ne ricordiamo noi, ci pensano gli algoritmi dei social network a farceli ricordare, come Facebook - per esempio - che permette di rivivere i ricordi di quel particolare giorno memorizzati nel diario.
Siccome per abitudine ciò che è buono e giusto è da conservare, oggi conservare tutto o, meglio, non buttare via niente, ci confonde le idee e ci fa credere che tutto sia buono e giusto. Ecco che, allora, anche il trash è da celebrare.
Il trash nella cultura di massa
Lo stesso meccanismo si traduce nella memoria collettiva, replicata in tv, nei modi di dire, di fare, di pensare che si trasferiscono da individuo a individuo nello stesso modo in cui, da secolo, si trasferiscono le conoscenze e le tradizioni.
Un atteggiamento diventa tradizione quando è messo in pratica senza domandarsi il perché, ma solo perché si fa così e basta.
Tanto più una società è incentrata sulle tradizioni e tanto più le tradizioni sono radicate, tanto meno quella società accoglie il cambiamento e le innovazioni in modo moderno (ricordiamo che moderno è il contrario di antico).
Il trash è tamarro
L'accumulo del trash nel presente, a discapito della continua selezione di ciò che è bene da ciò che è male per noi stessi e per gli altri, è causa del degrado degli usi e dei costumi della società. Nessuno vivrebbe bene in una discarica.
Nella celebrazione del trash affiora il modo di fare cafone ed esageratamente grezzo che, però, è accettato perché non più rifiutato. Ce ne accorgiamo scorrendo la timeline di qualsiasi social network e il fenomeno è replicato al cinema e in tv.
Sono espressioni di cattivo gusto le abitudini più diffuse: i selfie a caccia di like per le manie di protagonismo, le foto del piatto di pesce crudo (a cui segue il corri corri in bagno nei tre giorni successivi) per certificare l'appartenenza al culto del mangiare sushi una volta al mese e morire di fame due settimane per superamento del limite di spesa, la polo o il maglione col marchio stampato in grande perché se lo paghi 200 euro tutti devono saperlo, gli screenshot delle conversazioni private su WhatsApp ecc.
Tutti questi e altri comportamenti sono, poi, riportati sui profili nei social network, dove sono archiviati con la stessa cura riservata un tempo alla trasmissione ai posteri delle opere d'arte. Invece di essere deprecate, le cafonate sono celebrate, ricordate e imitate, proprio per l'incapacità di disfarsene a causa delle incredibili risorse di memoria digitale oggi a disposizione.
Il trash è anche perbenista
I comportamenti che non sono deprecati e che vengono trasmessi e imitati diventano anche tradizione. Gli individui per fare parte di un gruppo sentono la necessità di imitare e di adeguarsi ai modi di fare del gruppo. Così, per apparire una persona adeguata e all'altezza delle aspettative del gruppo, il trash tamarro risulta essere anche perbenista, a causa del desiderio di apparire in quei modi accettati e condivisi dagli altri: se non fai quelle esperienze non puoi appartenere al gruppo e le esperienze che fai devono trovare riscontro sulla Rete.
Quanto ti fai condizionare?
Come si diceva una volta se l'ha detto la televisione allora è vero, oggi invece le verità sono spesso rivelate dalla Rete. Tanto di ciò che conosciamo passa attraverso i Media (tv, Internet, giornali ecc.).
Allora, viene da chiedersi quante delle nostre esperienze, e quindi quante delle nostre memorie, siano spontanee o condizionate. Ho fatto quella cosa e voglio condividerla con voi, oppure devo fare quella cosa perché voglio condividere una certa immagine di me?
Per l'immagine in alto ho utilizzato un frame del film "Fantozzi subisce ancora", nella scena in cui vanno a fare camping in una discarica, certi di essere in un luogo esclusivo.
About me
Antonio Picco, blog on-line dal 2003.
Osservatore intransigente della società, critico dell'evoluzione digitale e del suo impatto sulle nostre vite.
Nel mio blog condivido riflessioni inedite sull'evoluzione del digitale e il suo impatto sulla società, con l'obiettivo di scardinare i diktat del pensiero stampato.
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