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Divano e un buon libro, ma quando un libro è buono?
Fuori piove? Divano e un buon libro. È domenica e non hai voglia di toglierti il piagiama? Piumone e un buon libro. Sei troppo purista e non guardi in TV il Grande Fratello VIP che continui a seguire dal Web? Allora preparati un mezzo litro di tè alla sciacquatura di piatti e leggi un buon libro.
Divano e un buon libro
Qual è questo buon libro che tutti quanti voi eruditi leggete comodamente al calduccio? Non si sa; non lo so. Provo a cercare buon libro su Twitter per cercare la risposta, purtroppo senza successo.
Stando ai vostri tweet, il buon libro è la penitenza per chi vota Lega, la conversione per chi segue il Grande Fratello, la cura per quelli che non sono razzisti, però sanno di ricadere in tale categoria perché pensano ciò che pensano. Se non l'hai fatto a scuola e non sai la storia come i sapientoni del Web, allora ti tocca metterti alla pari e leggere un buon libro di storia.
Dire buon libro e non solo libro serve per giudicare severamente l'altro; il buon libro ti fa stare dalla parte del giusto, come gli opinionisti del caso intervistati con alle spalle la libreria di casa sovraccarica di carta.
Leggere per fare una bella figura
Un bambino fa una certa fatica quando impara a leggere e si stanca subito dopo aver letto appena qualche riga. Il bambino legge perché glielo dice il maestro a scuola e legge in cambio di un bel voto. Finito l'impegno scolastico, il bambino non continua a leggere; se gli capita di leggere qualcosa, lo fa per sapere che cosa c'è scritto sopra; così Gianni Rodari spiegava il successo dei fumetti tra i bambini in Grammatica della fantasia.
Perché un adulto legge? Dipende da che cosa legge. Leggere un quotidiano è diverso da leggere un libro. In Gli strumenti del comunicare, McLuhan spiegava la differenza: nel libro troviamo "la storia segreta delle avventure mentali dell'autore", mentre nel quotidiano leggiamo "la storia segreta della comunità nelle sue azioni e nelle sue reazioni". L'adulto fa parte della comunità e il quotidiano racconta anche di lui; se - per esempio - il quotidiano tratta di sport, allora l'adulto tifoso è maggiormente interessato alle sorti della sua squadra del cuore.
Affidare le tue risorse mentali per leggere le tante pagine di un libro è come metterti completamente a disposizione dell'autore e riservare per lui parte del tuo tempo, tanto tempo, e forse anche mostrare disposizione a cambiare il tuo modo di pensare per allinearti alle idee dell'autore del buon libro che stai leggendo. Col buon libro tra le mani, a differenza del quotidiano, non sei tu al centro dell'attenzione.
Umberto Eco nelle pagine introduttive a Il nome della rosa, facendo finta di aver trascritto in quel libro il contenuto di un antico manoscritto da salvare e tramandare, spiegava di scrivere per il solo piacere di scrivere, quando - a suo dire - gli altri in quegli anni scrivevano solo impegnandosi sul presente (era la fine degli anni Settanta) e con l'obiettivo di cambiare il mondo. Eco, invece, scriveva per dare piacere a se stesso, compiaciuto nel sapere tanti lettori consenzienti nel sottostare ai suoi capricci e ai suoi latinismi. Per mostrare il suo valore di pensatore, Eco si proclamava - inoltre - pieno di dubbi; quegli stessi dubbi, per me finti, sbandierati da tutti gli uomini di lettere: chi non ha dubbi non pensa e chi non pensa non usa la testa. Il letterato deve avere dubbi.
Per darsi delle arie
Gli opinionisti intervistati con alle spalle la libreria di casa si pongono subito e irrevocabilmente dalla parte della ragione, in virtù dei libri esposti alle spalle. Tutti quei libri sono medaglie al valore: leggere tanti libri è un sacrificio per l'uomo comune e comporta molte rinunce. Esporre i libri e parlare davanti ai tuoi libri ti pone sopra a tutti gli altri, come gli scribi nell'antico Egitto.
In Italia gli scribi sono stati sostituiti con una nuova classe sociale, l'intellighenzia del Paese. Loro esaltano sempre il dubbio, specie quando il dubbio è sulle affermazioni altrui; un uomo dell'intellighenzia avvisa con severità di invidiare le certezze dell'interlocutore quando lo sente affermare con convinzione qualcosa, perché lui, persino lui dall'alto della sua cultura, ha sempre molti dubbi.
Eppure sfogliando le pagine di Aut-Aut, anche Kierkegaard considerava il dubbio troppo aristocratico, forse a causa dell'elogio del dubbio celebrato come punto di partenza della speculazione filosofica e scientifica. Ad ogni modo, Kierkegaard non contrapponeva la certezza al dubbio, bensì la disperazione.
Carta sprecata
Non puoi sapere se un libro è buono se prima non lo leggi. Di un vino, almeno, puoi annusare il tappo e - se sei un intenditore - riesci a capirne la qualità.
Capita spesso di vedere improvvisati sommelier infilare il naso in calici con un po' di vino dentro e sentire estasiati responsi su quanto quel vino sia buono. Allo stesso modo, la gente parla di un buon libro.
Non riuscendo a capire quando un libro sia buono, volevo almeno capire quando un libro sia da buttare. Allora, mi sono immerso nella lettura delle recensioni dei libri su Amazon, soffermandomi su quelle a una stella, cioè le più severe.
Solo un vero intenditore di vino sa quando una bottiglia da 100 euro contiene aceto e non vino ai sentori di pipì di gatto e foglia di pomodoro. Così, solo un intenditore di libri capisce quando un libro sia carta rubata alle foreste che ci regalano ossigeno prezioso, anche se scritto da autori illustri e illustrati.
In sintesi, ci sono anche i pessimi libri e li riconosci perché sembrano scritti in fretta e in modo confuso.
I lettori dei romanzi non tollerano le trame confuse e improbabili o i lunghi dialoghi riportati come se fosse un copione; i personaggi, poi, devono avere i nomi giusti e non ridicoli. Questo scrivono sulle recensioni cattive.
Nei saggi non sono perdonate le scopiazzature e le troppe citazioni, perché rendono il testo non uniforme e poco scorrevole; nessuna pietà, poi, per le opinioni già note a tutti.
Un libro è pessimo se scritto solo per mantenere il ritmo di un titolo all'anno, come è d'abitudine per scrittori come Bruno Vespa, Aldo Cazzullo e Federico Rampini. Nei titoli dei libri, a differenza di quanto accade nel Web con i click-bait, non funzionano le esche e le promesse non mantenute di svelare verità nascoste.
Un libro non sarà mai un buon libro quando l'editore risparmia nella qualità, stampando parole scritte in grigio anziché in nero e con caratteri troppo piccoli, così da ridurre il numero di pagine.
Non è apprezzata nemmeno lo spreco di carta e di inchiostro a causa di chi aggiunge del testo tanto per allungare il brodo: inutile scrivere in 300 pagine ciò che poteva benissimo essere espresso in 30.
About me
Antonio Picco, blog on-line dal 2003.
Osservatore intransigente della società, critico dell'evoluzione digitale e del suo impatto sulle nostre vite.
Nel mio blog condivido riflessioni inedite sull'evoluzione del digitale e il suo impatto sulla società, con l'obiettivo di scardinare i diktat del pensiero stampato.
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