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Anche i cambiamenti climatici danno visibilità sui social network
L'attivismo on-line che toglie i sensi di colpa: passare il tempo sui social non è una distrazione, ma impegno civile. L'impegno diventa virale e con il nuovo hashtag si prendono i like.
All'inizio era il Buco dell'ozono
Il Buco dell'ozono era una delle ansie per il futuro che i grandi trasferivano ai più piccoli negli anni Ottanta. Un'altra era la deforestazione in Amazzonia.
Le previsioni erano cupe. Il futuro immaginato più di trent’anni fa era freddo come il metallo e illuminato dalla luce bianca dei neon. In “Il ragazzo di campagna” (1984), Renato Pozzetto viveva in un mini appartamento di una stanza e senza finestre, dove poteva cucinare, mangiare e dormire, sfruttando lo spazio fino all'ultimo centimetro. La sistemazione era comoda, purché non si desiderasse fare altro. Secondo le previsioni di quegli anni, la sovrappopolazione ci avrebbe prima o poi obbligato a vivere in quel modo.
In un altro film di quegli anni, “Superfantozzi” (1986), nell’episodio ambientato nel futuro la casa del Ragioniere era come sospesa nello spazio e i mobili apparivano dal pavimento con la pressione di un tasto del telecomando.
Per come era immaginato il nuovo millennio, la tecnologia avrebbe risolto e soddisfatto ogni nostro bisogno, purché ogni nostro bisogno fosse stato già previsto e definito da qualcuno. Nessun altro bisogno all’infuori di quelli. Il futuro immaginato era una distopia.
We are the world
Le superpotenze mondiali - industrializzate, spendaccione, sprecone e guerrafondaie - avrebbero dovuto preoccuparsi di come difendere i meno fortunati, cioè il Terzo mondo.
I protagonisti della musica pop si spendevano in eventi mondiali a scopo benefico: il loro invito a preoccuparsi delle sorti del Pianeta e dei più deboli aveva tutti i connotati di un messaggio pubblicitario.
In We Are the World, i più famosi interpreti della musica pop cantavano tutti insieme per l’Africa con queste parole:
We can't go on
Pretending day-by-day
That someone, somewhere soon make a change
Cioè, non possiamo andare avanti facendo finta giorno dopo giorno che qualcuno da qualche parte faccia presto un cambiamento. La TV diventava sempre più una finestra sul mondo e all’ora di cena dalla sala da pranzo si spalancava proprio su scene di miseria disumana che arrivavano dall’altra parte del Pianeta. Quelle immagini dovevano far nascere il senso di colpa tra gli occidentali ricchi e oppressori del Terzo mondo.
I cantanti famosi con We are the world e i concerti riuscivano ad occupare lo spazio mentale di milioni di persone e, quindi, anche ad indirizzare il dibattito pubblico. Dettavano il tema alla politica mondiale, senza essere passati attraverso il voto degli elettori: la loro forza era il consenso che cresceva con l'impegno sociale.
Il cambiamento climatico
Il cambiamento climatico è, oggi, uno di quei temi di cui fa bene parlare; è una delle ansie che gli esperti e gli opinionisti ci trasmettono dalla TV, dai giornali, dai social network.
L’ansia per il cambiamento climatico viaggia preferibilmente sulla Rete, che diventa il luogo ideale per mostrarsi interessati all'aumento della temperatura media. La Rete e i social network da momenti di distrazione diventano, così, tempo speso per l'impegno civile e i buoni propositi. Non c’è più il senso di colpa per aver speso del tempo inutilmente on-line, se in quei lunghi momenti si combatte con i like, gli hashtag e le storie di Instagram per un mondo migliore.
Sui social network chiunque può aderire a una campagna di sensibilizzazione e fare l’attivista. Però, non tutti quelli che pubblicano un contenuto in Rete - valido o meno - raggiungono la stessa estensione di pubblico.
Per balzare e prendere un posto sul tavolo virtuale del dibattito mondiale è necessario il rilancio che solo i più seguiti tra gli utenti hanno il potere di fare. Come già detto, un messaggio ha più probabilità di diventare virale quando riesce a coinvolgere un numero di persone maggiore dei follower che in media hanno i follower dell'autore del messaggio. In poche parole, chi ha un largo seguito avrà sempre un largo seguito e la Rete non è tanto democratica come si vuole credere.
Greta
In questi giorni, prima sui social media e poi in TV, ci hanno parlato di Greta, una 16enne norvegese che dallo scorso agosto manifesta davanti al palazzo del parlamento del suo Paese per sensibilizzare l’opinione pubblica sui danni del cambiamento climatico.
Riportano i giornali che per almeno un giorno alla settimana salta la scuola per sostare in piazza e incrociare l’attenzione dei politici e conquistare l’attenzione dell’opinione pubblica. E così è successo: Greta ha parlato ai più potenti del Pianeta riuniti a Davos per il World Economic Forum e ha usato parole pesanti, passando per il Savonarola della situazione.
16enne, attivista, Asperger
Così, è un articolo su Newyorker.com a tracciare il profilo dell'attivista svedese Greta, 16 anni. Nella biografia sul suo profilo Instagram si dichiara una 16enne attivista sui cambiamenti climatici con diagnosi di Asperger.
I suoi genitori le hanno dato il permesso di saltare la scuola per diversi giorni mentre lei manifestava davanti al palazzo del Parlamento in Svezia. Non è la figlia di due genitori anonimi: sua madre è una nota cantante lirica e suo padre è un attore. La loro storia è già stata pubblicata in un libro ed è particolare perché Greta ha una diagnosi di autismo.
Virale
Il volto di Greta è così diventato virale e come succede per le cose virali, sono partite le imitazioni del suo gesto. Anche i ragazzi italiani si stanno prodigando pubblicando contenuti con l’hashtag #climatestrike, dietro al leader carismatico creato dai media: una ragazza speciale che a suo modo cerca le sue attenzioni, probabilmente dagli stessi genitori che le firmano le giustificazioni a scuola.
About me
Antonio Picco, blog on-line dal 2003.
Osservatore intransigente della società, critico dell'evoluzione digitale e del suo impatto sulle nostre vite.
Nel mio blog condivido riflessioni inedite sull'evoluzione del digitale e il suo impatto sulla società, con l'obiettivo di scardinare i diktat del pensiero stampato.
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